Dall'incipit:
«Perché un cane dovrebbe chiamarsi Come te?
Perché agli Zingari piace ridere dei Gagi.
Ci cascano tutti, ci sono cascata anch’io.
- Come si chiama il cane?
- Cuma ti!
- Come?
- Come te!
- Marianna?
- No, signora non mi permetterei mai, Come te, Cuma ti è il suo nome, l’abbiamo trovato, si chiamava così, ci scusi.
E giù a ridere con la mano davanti alla bocca.
Come si fa a non avere pregiudizi nei confronti dei Gagi, sono così stupidi che li freghi col nome del cane.
Come si fa a non avere pregiudizi nei confronti degli Zingari, sono così stupidi che credono di fregarti, col nome del cane…»
Dal capitolo VI:
«Nense e Manu parlano tre lingue: il sinto, il miscuglio di dialetti e, da qualche mese, l’italiano.
Sono andate all’asilo per tre o quattro mesi, nell’inverno scorso, e adesso sono alla fine della prima. Fare i compiti è sempre uno spasso, ma anche una delusione nel constatare come la scuola non abbia strumenti sufficienti.
Compito: circonda le seguenti parole con il verde, se sono vegetali, e con il rosso, se sono cose.
Silenzio, giù le teste e si lavora.
Arriviamo al controllo e passi per Manu che se ne frega e fa le cose a caso, ma Nense: perché ha circondato "quercia" con il rosso?
Provo a chiedere e lei mi guarda senza rispondere, è di una timidezza incredibile, sgrana gli occhioni azzurri e non risponde.
- Nense lo sai cos’è la quercia?
- Si.
- Cos’è?
Lei non risponde, ci pensa Manu che nessuno ha interpellato:
- E'... quando uno ha freddo... si quercia... la coperta!
Benissimo, quercia lo lasciamo rosso, va bene così, la coperta non è un vegetale.
Il concetto è stato appreso ma il voto è insufficiente.
Mi tornano alla mente tutti i segni rossi che ci sono sui loro compiti, tutte le schede lasciate incomplete solo perché non sapevano il nome dell’oggetto. Magari lo conoscevano in Sinto, ma è proibito parlare in Sinto, meglio lasciare in bianco e farsi dire dalla maestra:
- Ma come non sai cos’è un baule?
Poi il pomeriggio, mentre si fanno i compiti, si litiga e si usa "baule" come insulto. Fino a qualche giorno prima, era di moda "sorge", preso da una lettura che si intitola: "Il sole sorge".
Mi torna in mente la mia infanzia, cresciuta accanto a una nonna che parlava solo il dialetto.
Arrivata alla scuola materna, impattai in una suora che parlava solo in italiano, naturalmente capivo quasi tutto ma alcune parole che non avevo mai sentito suscitavano in me strane immagini.
Un giorno, mi hanno raccontato, giocavo con la mia bambola e la invitavo amabilmente a mangiare "il pomeriggio", fra l’ilarità dei presenti.
Per me il pomeriggio era una cosa da mangiare. Sarà stato per quel pomo iniziale!
Più di trent’anni dopo, in partenza dalla casa dei miei, chiedo dove sia mio padre, per salutarlo, e mia figlia mi risponde con sicurezza:
- È andato a "du bas".
Per lei il pomeriggio, "al du bas" in dialetto, non poteva essere che il nome di un campo, si sa i campi hanno sempre nomi strani...»